Le quattro sfide esistenziali della NATO


Politici e analisti sulle due sponde dell’Atlantico concordano nel considerare l’Afghanistan il banco di prova per il futuro della Nato. Se l’esito della missione Isaf in Afghanistan inciderà, probabilmente in negativo, sul destino dell’alleanza, è improbabile tuttavia che sia sufficiente, da sola, a determinarne il collasso. Ciò che la missione ha messo chiaramente in luce è che la Nato si trova di fronte quattro sfide che ne minacciano seriamente l’esistenza: la deriva strategica, le capacità inadeguate, i problemi finanziari e lo scarso coordinamento con altre organizzazioni internazionali.

Deriva strategica
Dopo la caduta del muro di Berlino, la Nato si trovò a misurarsi con un dilemma esistenziale essendo scomparso il suo principale antagonista. Alla fine degli anni novanta la Nato aggiornò il suo Concetto Strategico. Al vertice di Istanbul del 2004 il Consiglio del Nord Atlantico venne incaricato di stilare una Comprehensive Political Guidance (Cpg) integrazione del Concetto Strategico.

La versione finale del Cpg, tuttavia, cercava di accontentare un po’ tutti. Per i tradizionalisti, riaffermava la difesa collettiva prevista dall’Articolo V del trattato. Per i globalisti, sottolineava l’esigenza che la Nato fosse preparata ad affrontare un’ampia gamma di missioni, incluse quelle al di fuori dell’area euro-atlantica. Il documento, insomma, fece poco per risolvere il dibattito sulle finalità ultime della Nato. La missione in Afghanistan, ad esempio, è da considerarsi un precedente o un’eccezione? L’alleanza deve concentrarsi sulla protezione dell’area euro-atlantica o sulla promozione dei suoi valori nel mondo?

L’alleanza, purtroppo, non si è mai fermata per riflettere. Al contrario, ha lavorato senza sosta per lanciare un nuovo comando strategico, creare nuove capacità come la Nato Response Force e intraprendere nuove missioni.

L’unica via per arginare la deriva strategica della Nato è di riscrivere il Concetto Strategico. Sembrerebbe che l’imminente vertice per i sessant’anni dell’Alleanza si chiuderà con una dichiarazione sulla Sicurezza Atlantica: un primo passo nella giusta direzione. Una volta individuato l’obiettivo, l’alleanza dovrebbe nominare un Gruppo di esperti indipendenti di alto livello che metta a fuoco le questioni fondamentali. Il Gruppo è necessario perché ogni tentativo di riforma che proviene solo dall’interno dell’organizzazione sarà ostacolato da logiche politiche.

Capacità inadeguate
La sfida successiva sarà quella di identificare le capacità necessarie a intraprendere queste missioni. Carenze esistono in aree critiche come il trasporto strategico, i rifornimenti aria–aria e il sistema di intelligence, comando, controllo e comunicazione. Problemi di dispiegamento di truppe continuano ad affliggere i membri europei dell’alleanza. Di conseguenza, diversi membri della Nato fanno fatica a fornire contributi sostanziali alla missione in Afghanistan.

Di tutti i fattori che contribuiscono alla carenza di mezzi dell’Europa, nessuna è citata più spesso della costante riduzione dei bilanci della difesa. La maggior parte dei membri della Nato spende per la difesa notevolmente meno del 2% del Pil raccomandato dai documenti di programmazione della Nato. Sarà difficile aumentare questi livelli. Il rimedio su cui l’Alleanza sta lavorando è la creazione di meccanismi che favoriscano l’integrazione: non spendere di più, ma spendere meglio attraverso una messa in comune delle risorse e appalti multinazionali per i materiali della difesa.

Problemi economici
Una delle più grandi ironie della missione Nato in Afghanistan è che i paesi che inviano le truppe non solo devono assumersi i rischi politici della decisione, ma anche gli oneri finanziari. L’attuale modalità di finanziamento dell’Alleanza segue infatti il modello “costs lie where they fall” (ogni Stato paga le spese del suo contingente). Nel 2005 fu concordato un meccanismo di finanziamento rafforzato, che ha ampliato la lista di mezzi finanziabili attraverso fondi comuni. Ma non c’è ancora una politica di finanziamento per i mezzi di trasporto strategico necessari per il dispiegamento rapido delle truppe.

Il risultato delle attuali modalità di finanziamento è che le decisioni sulle missioni vengono prese da tutti i ventisei membri, mentre i compiti più impegnativi e onerosi ricadono sui pochi che si offrono volontari.

La Nato dovrebbe istituire un fondo comune in modo che le spese finanziarie siano ripartite equamente tra i membri. Va fatto con cautela, poiché paesi come la Gran Bretagna si opporranno a innovazioni che gravino – o sembrino gravare – ulteriormente sugli alleati che più contribuiscono alle operazioni.

Scarso coordinamento
L’alleanza dovrebbe anche puntare a migliorare le sue relazioni esterne. Oggi in Afghanistan, sono presenti le Nazioni Unite e molti altri attori: dall’Unione europea al Comitato internazionale della Croce Rossa. È quel che probabilmente accadrà domani in un’altra zona calda del mondo. La Nato deve cooperare con efficacia e trasparenza con le organizzazioni che si ispirano agli stessi principi, soprattutto quando si tratta dell’Onu. Le missioni Nato in Afghanistan e nei Balcani operano tutte sotto il mandato dell’Onu.

Ciononostante, non esiste nessun protocollo d’intesa tra le due organizzazioni. Recentemente il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon ha partecipato a una conferenza internazionale sull’Afghanistan in Romania, dove ha incontrato leader afgani e della Nato. È un’iniziativa promettente. L’alleanza dovrebbe intraprenderne di analoghe in futuro.

È inoltre necessario che la Nato riveda il suo rapporto con l’Unione europea. Nel giugno 2007, la Ue ha lanciato una missione per l’addestramento di polizia e le riforme di sicurezza in Afghanistan (Eupol Afghanistan). Tuttavia, il veto della Turchia ha impedito alla Nato di provvedere alla sicurezza dei contingenti europei. Di conseguenza la missione dell’Ue a guida tedesca ha dovuto faticosamente negoziare accordi di sicurezza bilaterali con ciascun Provincial Reconstruction Team (Prt), le speciali unità militari responsabili per la sicurezza e la ricostruzione nelle varie aree del paese. Ankara ha bloccato l’assistenza della Nato perché ritiene che tutte le iniziative congiunte Nato-Ue debbano avvenire nel quadro degli accordi “Berlin Plus”, che però escludono Cipro. Ciò blocca l’intero processo, poiché l’Unione europea si rifiuta di impegnarsi in questo ambito se tutti i suoi membri non vi partecipano su un piede di parità.

Nel corso degli ultimi anni, la Ue è andata ben oltre gli accordi “Berlin Plus” del 2003. I paesi europei che spingono per un rafforzamento della Politica europea di sicurezza e difesa (Pesd), sono determinati a sviluppare capacità di difesa più autonome e preferirebbero attivare i quartieri generali nazionali o sviluppare una nuova struttura di pianificazione delle missioni Pesd a Bruxelles, piuttosto che richiedere il sostegno delle strutture Nato.

È dunque necessario che le due organizzazioni mettano a punto le loro relazioni quanto prima. Ciò vuole dire anche che l’Unione Europea dovrà affrontare alcuni dei suoi problemi interni, come quello del ruolo della Turchia in Europa.

Con paesi come Danimarca, Francia, Svezia, e Finlandia che indicano di voler riconsiderare la loro collocazione rispetto sia alla Nato che all’Ue, è giunto il momento di esplorare l’ipotesi di stipulare accordi di “doppia membership” nelle strutture della sicurezza europea o di europeizzare il Comando supremo delle forze alleate in Europa (Shape) della Nato, riunendo nella stessa sede i funzionari per la pianificazione della Nato e quelli dell’Ue. Per realizzare un miglior coordinamento tra le operazioni civili e quelle militari e, più in generale, delle capacità di difesa dell’Europa, i paesi europei membri della Nato e/o dell’Ue dovrebbero aver accesso sia agli incontri del Consiglio Atlantico sia a quelli del Comitato politico e di sicurezza dell’Ue.

Buon compleanno Nato
Mentre la Nato si prepara al suo sessantesimo compleanno, i festeggiamenti non dovrebbero nascondere le sfide che la attendono, a cominciare dalla missione in Afghanistan. Ma i paesi membri devono anche far fronte ai problemi qui esposti, altrimenti corrono il rischio di ritrovarsi in un’alleanza impreparata alle future missioni. La Nato ha avuto successo durante la guerra fredda grazie ad una missione chiaramente definita, a risorse adeguate e un impegno di lungo termine ad investire nell’addestramento e nelle capacità necessarie. Oggi la Nato è in difficoltà su tutti questi fronti. Per avere successo per altri sessant’anni dovrà fare molto di più che limitarsi a tirare a campare.

Julianne Smith è Director of the Europe Program, Center for Strategic and International Studies, Washington DC

Michael Williams è Head of the Transatlantic Programme, Royal United Services Institute for Defence and Security Studies, London



Footnotes


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